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Bersani: siamo in piedi, si riparte
Pubblicato da NICOLA CORDA in Politica • 02/04/2010 12.11.39
LA NUOVA SARDEGNA
VENERDÌ, 02 APRILE 2010

Bersani: siamo in piedi, si riparte

E tuttavia nel partito Democratico le polemiche non si placano

NICOLA CORDA

ROMA. «Siamo in piedi» dice Pierluigi Bersani, nonostante tutto. Scrive ai circoli, la base forse un po’ troppo disorientata da un voto deludente, dalle analisi in parte reticenti del giorno dopo. E chissà se il segretario del Partito Democratico intendeva riferirsi anche a quelle «picconate alla ditta» ripartite puntualmente dalla minoranza. «Siamo in piedi, nonostante la delusione per aver perso alcune regioni e per una manciata di voti la guida di Lazio e Piemonte» scrive Bersani che sollecita gli iscritti a ripartire. Agli iscritti dice che «dal voto emergono chiaramente alcuni problemi nel rapporto tra i cittadini italiani e la politica».
Disaffezione crescente, e distacco, «perché la percepiscono lontana dai loro problemi». Ma la linea non cambia, il progetto resta quello di offrire un’alternativa al governo incapace di dare risposte alla crisi «di offrire un’altra possibilità agli italiani». Ribadisce però il suo approccio alla discussione sul Pd: «C’è spazio per una discussione larga libera sul dopo elezioni e sulle prospettive del nostro partito, ma non per dibattiti autoreferenziali che potrebbero allontanarci dal senso comune dei nostri concittadini».
Scrivendo ai circoli Bersani pone il tema del radicamento al centro dell’azione del partito. «Adesso dobbiamo accelerare. Da qui dobbiamo ripartire mettendoci al lavoro per dare radicamento a un Partito concepito come una grande forza popolare». Una carica che suona oltre la minoranza che aveva chiesto «di cambiare passo» e di non chiudersi nel bunker.
Un «consiglio» arrivato anche da Veltroni che non si azzarda a contestare la leadership ma chiede un partito più coraggioso. «Nessun processo - promette l’ex segretario - ma si dica che è andata male». Veltroni poi considera un falso problema quello delle alleanze, «perché la maggioranza si conquista nel paese e non mettendo insieme le sigle dei partiti». Loda Bersani la vecchia guardia e questo per molti non sarà di grande aiuto al segretario. «Nessun Papa straniero - dice Franco Marini - il Pd ha il suo leader che può andare avanti fino al 2013 e poi sfidare Berlusconi per il governo».
Ma nel Pd il vizio delle picconate resta così come quello dei duelli e così accade pure di assistere alla zuffa sui giornali tra due «enfant prodige» del nuovo partito. Il sindaco di Firenze Matteo Renzi dà del vile al presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti per non essersi candidato nel Lazio. «Capisco che per qualcuno rispettare l’impegno con gli elettori sia meno importante della carriera, per me non è così» è la replica intinta nel veleno. Zingaretti poi va giù ancora più duro e scrive di «mostri che si stanno formando nel partito e non solo una vecchia classe politica ma anche il rischio che taluni nuovi riescano a esprimere solo il metallico rumore del nulla».
In serata Renzi non replica ma ribadisce: «Con Zingaretti e Chiamparino vincevano Lazio e Piemonte». Da qualche tempo in posizione critica, il sindaco di Torino intanto incassa un incontro a due col segretario Bersani per «riorganizzare il partito nel nord», dove la Lega è sempre più un pericolo e non solo dentro le fabbriche. Chiamparino si smarca dal gioco delle candidature e replica secco «le possibilità che io diventi segretario del Pd o essere candidato alla premiership nel 2013 sono pari a zero».
Di Pietro, il principale alleato, però insiste. Entro l’anno va scelto il candidato premier da contrapporre a Berlusconi. E non può essere Bersani: «Serve un nuovo Pd».

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