Presentazione “Programma di Governo 2006 – 2011”
Roma, 11 febbraio 2006
Care italiane, cari italiani, cari amici da
tutto il mondo. Mi riferisco ai tanti italiani che
dall’estero ci seguono via internet e daranno il loro voto
alla nostra lista e ai nostri candidati il 9 aprile, oggi
presentiamo un grande progetto per il governo dell’Italia, “per
il bene dell’Italia”
come abbiamo voluto intitolarlo.
Ed
è un impegno vincolante per tutti noi.
L’impegno di governare assieme, per cinque anni, un Paese
che ha grandi risorse non utilizzate, grandi energie non
attivate, grandi intelligenze non mobilitate, e che ha
bisogno, disperatamente bisogno, di una guida salda e
fortemente riformatrice per tornare a crescere, e a svolgere
il suo grande ruolo in Europa e nel mondo.
L’impegno di governare assieme, per cinque anni, seguendo il
percorso tracciato dal nostro programma.
Ad
esso hanno lavorato per mesi, con passione e intelligenza,
uomini e donne della nostra Alleanza: quasi 500 persone
hanno contribuito al lavoro delle 12 commissioni. A loro va
il ringraziamento di noi tutti.
Ma
voglio anche ricordare le migliaia di contributi di semplici
cittadini arrivati alla Fabbrica del programma. Oltre 3000
interventi diretti nelle 21 iniziative con più di 6000
proposte scritte, e ne stanno ancora arrivando…
E’
un modo di lavorare nuovo, un lavoro svolto con serietà e
dedizione, un lavoro per gli italiani e con gli italiani.
Perché noi non ci riempiamo la bocca parlando “della gente”.
Noi abbiamo la serietà e la consapevolezza di essere gente
tra la gente.
Prima ancora che il merito voglio qui sottolineare lo
spirito con cui ci siamo mossi e il metodo che abbiamo
seguito.
Lo
spirito di unità che ci ha animato, la volontà costruttiva
che ha guidato tutti noi nel mettere a fuoco i tanti
problemi e le soluzioni che proponiamo all’attenzione degli
elettori.
Le
differenze, quando si sono palesate – ed era inevitabile per
l’ampiezza della nostra Alleanza – sono state affrontate con
il dialogo, con spirito costruttivo, con rispetto reciproco,
fino a trovare la soluzione condivisa.
Non
ci sono state imposizioni.
E
questa è per me anche una buona indicazione del metodo con
cui intendiamo governare.
E’
questo il nostro primo grande risultato: avere realizzato il
proposito, che a molti appariva velleitario, di approvarlo
insieme e di legarci ad esso in un patto di governo.
A
differenza della Destra, noi oggi ci presentiamo alle
elezioni del 9 aprile con un candidato alla guida del
governo che i partiti della Alleanza e quattro milioni e
trecentomila elettori - in quell’evento straordinario, mai
visto in nessun altro paese europeo, che sono state le
primarie del 16 ottobre – hanno concordemente designato.
Un
candidato, non tre.
E a
differenza della Destra, noi ci presentiamo alle elezioni
con un programma di governo che oggi sottoscriviamo e a cui
ci riteniamo vincolati
L’elettore che vota per le liste della Destra non sa, in
caso di vittoria, chi avrà il compito di guidare il governo.
E
non sa quale sarà il programma, perché ognuno dei tre che
aspira esplicitamente a guidarlo ne ha uno proprio, e solo
le urne potrebbero dire quale prevarrà.
Il
9 Aprile voteremo con la nuova legge elettorale. Essa
rappresenta un grave arretramento rispetto alla grande
novità portata dal sistema maggioritario e dal bipolarismo,
che aveva dato al cittadino elettore due certezze: un nome
certo per la guida del governo, un impegno certo sul piano
dei programmi.
E’
la conseguenza sciagurata di una legge elettorale che è
stata approvata per impedirci di governare limitando
artificiosamente i margini di maggioranza.
Una
legge contro l’Italia, l’ho definita, perché il nostro paese
ha disperatamente bisogno di essere governato.
Essa è stata approvata nella speranza di sottoporre la
nostra Alleanza a tensioni disgregatrici.
Se
tensioni disgregatrici ci sono, esse sono nella alleanza
della Destra, tra ambizioni personali e corse a posizionarsi
per il dopo Berlusconi, che è già iniziato.
Perché la verità è che alla vittoria non credono neppure
loro.
Questa nostra manifestazione dimostra che la speranza di chi
quella legge ha pensato e imposto non si è realizzata.
Noi
siamo qui, siamo uniti tra noi, offriamo agli elettori una
guida certa e un programma condiviso.
Lo
offriamo prima del voto: per noi, anche se la legge è
cambiata, vale ancora quel patto con gli elettori, fatto di
chiarezza e responsabilità, che ha segnato il passaggio
dall’Italia del proporzionale e dei mille governi che
stavano in carica dieci mesi, all’Italia dei governi stabili
per l’intera legislatura.
La
stabilità, negata dalla legge, può essere garantita da un
atto collettivo di volontà politica, da un impegno d’onore
che ci assumiamo nell’interesse dell’Italia.
E’
per questo che siamo qui oggi.Ho parlato di un grande
progetto per l’Italia, perché quello che approviamo oggi è
molto di più di un programma.
E
questo spiega la sua ampiezza.
Non
dubito che a questo riguardo si eserciteranno le ironie di
quanti per due anni hanno perentoriamente invocato il nostro
programma, sperando che la sua elaborazione ci avrebbe
irrimediabilmente divisi.
Ma
la realtà è che, di fronte ai problemi che tormentano la
nostra Italia, noi avevamo il dovere di offrire ai cittadini
una visione completa della filosofia con cui opereremo e
delle soluzioni che proponiamo.
In
questo programma ci sono le coordinate entro cui si muoverà
l’azione del governo.
All’interno di esse noi indichiamo le nostre priorità,
tenendo conto dell’orizzonte temporale in cui si muove il
governo, delle necessarie compatibilità finanziarie. Per cui
il tempo necessario ad un serio ed approfondito dibattito
parlamentare non sarà tempo perso.
E’
importante che i cittadini tutti e anche gli osservatori
internazionali, possano comprendere entro quale percorso
riformatore si inseriscono i singoli provvedimenti e il
disegno complessivo che li ispira.
Siamo consapevoli che in molti settori occorreranno
interventi radicali da operare per via legislativa. Ma molto
deve essere anche fatto intervenendo, come ho avuto modo di
dire, “con il cacciavite”, per fare funzionare a dovere gli
ingranaggi della Pubblica Amministrazione.
E
poiché molti degli approcci qui suggeriti, delle soluzioni
qui prospettate, non richiedono tanto interventi legislativi
quanto appunto una decisa e tenace azione amministrativa, si
può ben dire che nel progetto si trovano anche le linee
guida per l’azione, dopo il 9 aprile, avrà la responsabilità
di guidare i ministeri e dare attuazione pratica al nostro
progetto.
E
c’è un filo che lo tiene insieme e che balza agli occhi da
ogni pagina: questo è il progetto di governo di una
coalizione che sta dalla parte dei cittadini, che si fa
carico delle ansie, delle paure, delle preoccupazioni, delle
speranze, delle aspirazioni dei cittadini.
C’è
oggi chi, non possedendo altri argomenti per mancanza di
risultati, cerca disperatamente di dipingere una Italia
divisa dalla ideologia.
C’è
chi si diletta nell’esercitare una strategia ci
comunicazione molto sofisticata: un secchio di sterco la
mattina e uno la sera addosso agli avversari e dipingere
tutta l’Italia di rosso.
(Ormai lo disturba anche vedere passare una Ferrari).
E’
vero, gli italiani sono divisi: ma non dall’ideologia.
Dopo cinque anni di governo della Destra, gli italiani sono
divisi fra chi ha tanto e chi ha poco, tra chi si è
sfacciatamente arricchito e chi si è impoverito, tra chi ha
evaso sistematicamente il fisco ed è stato premiato, e chi
ha pagato le tasse fino all’ultimo euro, tra chi si è
sentito ampiamente confortato dall’azione del governo e i
tanti che sono stati abbandonati da questo governo.
Queste sono le divisioni che vogliamo eliminare.
Gli
elettori sanno che il nostro governo starà, sempre, dalla
parte dei cittadini.
Non
sarà un governo per pochi ma per tutti.
Non
farà gli interessi di pochi, e tantomeno di uno solo, ma gli
interessi di tutti.
Questa è la prima, enorme differenza, tra noi e la Destra.
Io
sono certo che nella nostra azione di governo non li
deluderemo.
So
però, per realismo ed esperienza, che potranno venire
momenti di difficoltà, tanto più forte quanto più incisiva,
radicale, sarà la nostra azione di governo.
Ma
potremo mantenere l’indispensabile consenso perché i
cittadini sanno che le donne e gli uomini dell’Unione, le
donne e gli uomini che si assumeranno la responsabilità di
governare, non hanno altri interessi da tutelare e
promuovere che non siano gli interessi dei cittadini.
Noi
agiremo “per il bene dell’Italia”.
E
niente è più importante per il bene dell’Italia che il
nostro Paese torni a crescere.
Questa è la priorità delle priorità. Perché se non torniamo
a crescere tutto diventa più difficile, tremendamente
difficile, e poco o niente è possibile.
Io
non uso a cuor leggero la parola declino. Ma neppure posso
ignorare il fatto che negli ultimi cinque anni tutti gli
indicatori sono peggiorati.
La
manifestazione più evidente del declino è l’abbassamento del
tasso di crescita della produttività. Esso negli ultimi
cinque anni – unico paese europeo – ha addirittura assunto
valori negativi.
Sono gli anni del governo della Destra, che ha accompagnato
il declino senza contrastarlo.
Questo Governo non ha contrastato il declino o perché non ha
compreso la natura strutturale della crisi che viviamo, del
venire a maturazione con velocità accelerata di un insieme
di problemi che certo hanno avuto una protratta incubazione,
ma proprio in questi anni hanno raggiunto la massa critica.
O
perché non ha avuto la capacità, la voglia, la forza di
affrontarne le principali manifestazioni con politiche
appropriate.
Nessun artificio polemico, nessun diversivo propagandistico
sbandierato con un misto di cinismo e leggerezza
intellettuale da chi ha avuto la responsabilità della guida
dell’economia, può mascherare questo fatto.
E
allo stesso tempo è stato creato un disastro finanziario che
costituisce una pesante eredità. Un’eredità che non possiamo
nemmeno accettare con il beneficio di inventario.
Di
qui la prima indicazione. Una politica dei due tempi, che
faccia precedere il risanamento finanziario agli interventi
per lo sviluppo e la redistribuzione del reddito, non è
possibile.
Non
è possibile perché se l’economia non torna a crescere
diventa inattuabile il risanamento stesso. Ci avviteremmo in
una spirale tale da condurre il sistema economico sull’orlo
del collasso.
L’Italia – voglio affermarlo subito con assoluta convinzione
- ha le energie per superare la crisi.
Ma
per tornare a crescere sono indispensabili una grande
mobilitazione di tutti i cittadini e cambiamenti profondi
nei comportamenti che tengono assieme l’economia e la
società.
Non
bastano piccoli aggiustamenti, occorrono riforme radicali.
Non
potremo ottenere una ripresa di competitività complessiva
del sistema-paese senza profonde innovazioni del
sistema produttivo, senza un percettibile
miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei
cittadini, senza una attenzione nuova alla qualità
della vita delle famiglie.
Per
la qualità della nostra vista è indispensabile un maggior
rispetto per l’ambiente. Il degrado dell’ambiente naturale
sta letteralmente cambiando la terra sotto i nostri piedi.
Stiamo consumando in modo scriteriato acqua, aria, terra ed
energia.
Stiamo cancellando la bellezza stessa dell’Italia, il frutto
di una natura generosa e di secoli di lavoro e di genio
artistico.
Se
non facciamo della difesa dell’ambiente una priorità
assoluta incorporando le “ragioni della natura” in tutte le
nostre politiche, impoveriremo in modo irrimediabile la
nostra società.
Ogni generazione ha il dovere morale di lasciare a quelle la
seguiranno la possibilità di vivere una vita migliore. A
questo impegno non vogliamo sottrarci.
Ma
tutto questo sarà realizzabile solo con un governo che,
oltre alle idee e alla determinazione nel concretizzarle,
abbia la capacità di motivare e mobilitare le energie del
Paese.
Un
governo che sia esso stesso – per lo spirito con cui mostra
di agire, la sua condotta, l’equità delle sue politiche in
ogni campo – un potente fattore di coesione della società,
dopo le lacerazioni, le contrapposizioni, le forzature, le
imposizioni che hanno marcato la condotta di governo della
Destra.
Questo è il governo che offriamo agli italiani.
E
come primo provvedimento noi intendiamo ridurre
sensibilmente l’eccessivo carico contributivo sul lavoro
dipendente, in una misura che ho già avuto l’occasione di
quantificare in cinque punti nel primo anno di legislatura.
Una
riduzione che, andando a beneficio sia delle imprese che dei
lavoratori, sarà capace di riagganciarci alla ripresa
europea, di avviare un nuovo ciclo di investimenti, di
stimolare una ripresa dei consumi.
Una
riduzione che attenuando di molto la convenienza dei
contratti atipici contribuirà a contrarre l’area del
precariato.
Essa andrà accompagnata con una politica del lavoro capace
di armonizzare flessibilità e stabilità superando,
attraverso significative modifiche, di quella che è
impropriamente chiamata legge Biagi una inaccettabile
precarietà permanente che sta penalizzando una intera
generazione di giovani. Una generazione che rischia di
essere frustrata nelle sue aspirazioni e di essere
condannata ad un domani di pensioni miserevoli.
La
riduzione dell’eccessivo carico contributivo sul lavoro
dipendente andrà accompagnata infine a una politica
industriale volta a rafforzare la dimensione e la solidità
finanziaria delle imprese.
Abbiamo idee, le attueremo, le sperimenteremo, pronti a
scartare ciò che non funziona, pronti a battere altre strade
se necessario.
Ecco, in qualche misura è questo l’approccio che dovremmo
adottare.
Sempre andando avanti, perseguendo con determinazione i
nostri obiettivi. Perché noi non ci rassegniamo certo al
declino, come non ci rassegniamo a una società in cui le
diseguaglianze crescono, la forbice dei redditi si allarga,
l’area della vecchia e nuova povertà si estende, la qualità
della vita per le famiglie si deteriora.
Sappiamo già però che non si torna a crescere senza
investire mezzi ed energie intellettuali nella ricerca,
nella innovazione e nella scuola.
Ricordo che a Lisbona l’Unione Europa aveva fissato un
obbiettivo di spesa in ricerca e sviluppo pari al 3% per
cento del Pil, per due terzi di origine privata.
Oggi l’Italia è all’1,1%, tra gli ultimi posti in Europa e
nell’Osce.
Così non si va da nessuna parte. O meglio, si va solo
indietro.
Un
impegno forte nelle politiche per la ricerca è prioritario,
con interventi mirati su
specifici programmi nelle aree di netta priorità, con il
credito di imposta automatico sulle spese di ricerca, con il
riconoscimento di agevolazioni per le assunzioni di
ricercatori, con una politica attiva di trasferimento
tecnologico.
E
poi c’è la scuola.
Investendo nella scuola noi investiamo sui giovani. Il
futuro dell’Italia parte da qui: la società e le famiglie
devono investire nella scuola, chiamandola a una maggiore
responsabilità per combattere contro l’impoverimento
culturale, l’analfabetismo di ritorno, il fallimento
formativo, la dispersione scolastica.
La
scuola è una macchina complessa che ha bisogno di un
progetto condiviso e di lungo periodo per dispiegare
l’efficacia della sua azione educativa.
E’
chiaro che la riforma, attuata nella legislatura che si
chiude, in alcuni dei suoi aspetti andrà radicalmente
cambiata.
Penso, per esempio, alla scelta troppo anticipata dei
percorsi formativi dopo la scuola media, e penso alla
liquidazione della formazione tecnico-professionale. Abbiamo
invece bisogno di valorizzarla ed estenderla attraverso
percorsi universitari brevi, corsi che diventino le scuole
tecniche del XXI secolo.
Con
una particolare attenzione, a questo riguardo per il
Mezzogiorno, che del ritorno alla crescita dell’Italia - che
noi perseguiamo - dovrà costituire il motore, cogliendo la
straordinaria opportunità che gli si offre, e che noi
intendiamo cogliere, di divenire la piattaforma di raccordo
tra Asia e Europa.
Di
questa nostra priorità noi vogliamo che gli insegnanti si
sentano protagonisti, protagonisti di un nuovo progetto
culturale, perché noi ne sapremo valorizzare la
professionalità e l’autorevolezza.
Non
può esserci un processo di riforma e rilancio del sistema
educativo se non c’è coinvolgimento degli insegnanti, che ne
condividano progetti e percorsi. Non sono possibili riforme
senza che i destinatari ne siano anche protagonisti.
Non
si fanno buone riforme nonostante gli insegnanti.
Ridaremo a loro coraggio, motivazioni, la gioia di svolgere
una funzione vitale e apprezzata come merita.
L’Italia ha di fronte una grande sfida: rimettere la
conoscenza, il sapere al centro della politica,
dell’economia, della società.
La
competitività economica del Paese richiede un grande salto
in avanti in tutti i settori della ricerca e
dell’innovazione tecnologica.
Il
sistema italiano della università e della ricerca mostra
seri problemi e non riesce che in parte a corrispondere alla
complessità delle sfide che la società gli pone.
Investire in formazione e ricerca – in particolare nelle
discipline scientifiche e tecnologiche – è l’unico modo per
recuperare consistenti squilibri economici e sociali.
Faremo delle università italiane un polo di attrazione per
la formazione dei giovani e dei ricercatori.
Vogliamo dare spazio ai giovani nell’università e nella
ricerca perché l’Italia ha bisogno di giovani che insegnino
e facciano ricerca con stabilità e libertà e vogliamo
stimolare decisamente le lauree in discipline
scientifico-tecnologiche anche in relazione al rilancio e
alla creazione di distretti tecnologici collegati con le
università, gli enti di ricerca e le realtà produttive del
Paese.
Il
fisco rappresenta un’altra area di intervento necessario.
In
questi anni la politica delle Destra, la politica dei
condoni a raffica – hanno condonato persino le tangenti
nella Pubblica Amministrazione, come ha stigmatizzato
recentemente la Corte dei Conti – ha radicato l’idea che
evadere l’obbligo fiscale sia la normalità.
Noi
intendiamo ripristinare anche in questo campo la cultura
della legalità e della responsabilità civica. Ricordando,
intanto, che la leva fiscale non è una rapina ai danni dei
cittadini ma serve a conseguire gli obiettivi comuni della
nostra società.
Noi
lanceremo una lotta feroce all’evasione fiscale, che in
Italia sotto l’occhio indifferente del governo della Destra
ha raggiunto livelli che non si riscontrano in nessun paese
civile.
Il
livello è tale che anche solo il recupero di un terzo
dell’evasione risolverebbe molti dei nostri problemi.
Lotta feroce all’evasione, dunque, come condizione innanzi
tutto di equità, ma anche di efficienza del sistema.
L’Italia è anche il paese in cui viene riconosciuto un
vantaggio fiscale alla rendita mentre viene penalizzato il
reddito prodotto dall’impresa e dal lavoro.
Questa è una perversione dei valori che devono animare una
moderna società civile.
E
allora, nel mentre come ho detto alleggeriamo sensibilmente
il carico contributivo sul lavoro dipendente, agiremo per
rendere uniforme il sistema di tassazione delle rendite
finanziarie, escludendo però – va sottolineato con forza – i
redditi prodotti dai piccoli patrimoni frutto del risparmio
familiare.
E
infine interverremo per un fisco amico delle famiglie.
Riconoscendo il valore sociale della maternità e della
paternità, vogliamo dotare ogni bambino di un reddito che
aiuti la famiglia fino al raggiungimento della maggiore età
e che tenga presente le esigenze delle famiglie numerose.
L’intervento per le famiglie deve essere ampio, e lo sarà.
Gli
oneri a carico delle famiglie continuano a crescere.
Crescono i costi della non-autosufficienza e dei figli, non
solo dei minori. Basti dire che il 70 % dei giovani tra i 25
e i 29 anni vive con i genitori, nella sostanziale
impossibilità di rendersi autonomi e di formare nuove
famiglie.
Le
difficoltà colpiscono ormai anche le famiglie con redditi
medi, e divengono insostenibili per le famiglie
monoparentali.
Esercitare il diritto alla maternità significa per molte
donne rinunciare a quello del lavoro. Non stupisce che il
tasso di fertilità nel nostro Paese sia il più basso
d’Europa, e che la denatalità sia divenuta un fenomeno
allarmante, con il risultato che siamo anche il paese più
vecchio.
Sulla famiglia il governo della Destra ha fatto molta
retorica, ha speso molte parole. E mena scandalo per il
nostro proposito di regolare in maniera civile le unioni di
fatto.
Ma
il vero scandalo è l’assenza di una politica efficace e ad
ampio raggio di sostegno alla famiglia, così come è definita
dalla nostra Costituzione.
Il
vero scandalo è che sta diventando un lusso sposarsi.
Il
vero scandalo è che siamo arrivati al punto in cui è più
conveniente non sposarsi.
Il
vero scandalo è che, invece di una politica coerente e
permanente, si adotta quella dei bonus una tantum, di cui
vantarsi con relativa letterina elettorale spedita a carico
del contribuente.
Il
vero scandalo è tenere in condizioni di precarietà
lavorativa permanente i giovani, con l’effetto che le
giovani coppie non solo devono differire nel tempo la loro
unione, ma devono rinunciare al sogno di farsi una casa,
salvo che non intervengano i genitori, perché il sistema
bancario non concede mutui per la precarietà della loro
condizione di lavoro.
Per
noi questo, tutto questo, è uno scandalo intollerabile.
Noi
sosteniamo il diritto di ogni persona a costruire il proprio
percorso di vita, e il ruolo delle famiglie come il luogo di
esercizio delle solidarietà intergenerazionali, della cura e
degli affetti.
Non
basta un fisco amico delle famiglie, noi dobbiamo realizzare
una società amica delle famiglie.
Noi
ci poniamo l’obbiettivo di raddoppiare nell’arco della
prossima legislatura il numero degli asili nido e
istituiremo un fondo di garanzia per i mutui alle giovani
coppie.
E
attueremo un programma di sviluppo dell’assistenza
domiciliare integrata, facendo affluire in un Fondo
nazionale per l’autosufficienza tutte le risorse già oggi
impegnate nel settore, predisponendo un percorso di graduale
incremento delle risorse pubbliche, ma facendo anche leva su
cooperative e soggetti del terzo settore.
Noi, il governo di centrosinistra, investiamo sulla
famiglia, investiamo sul suo futuro: perché noi investiamo
sul futuro dell’Italia.
Metter su casa è diventato quasi impossibile per molti
giovani e difficile è anche pagare affitti sempre più
salati.
Nonostante i tassi di interesse sui mutui si siano
fortemente ridotti (e questo è uno dei meriti dell’euro) la
vertiginosa crescita dei prezzi delle abitazioni (+40% negli
ultimi quattro anni) ha reso inaccessibile l’acquisto della
casa per molti.
Gli
affitti sono andati alle stelle con aumenti di oltre il 50%
negli ultimi anni. Ci vogliono più case per l’affitto. Ci
vuole una maggiore offerta pubblica e ci vuole un mercato
che funzioni meglio.
Hanno venduto pezzi consistenti di patrimonio abitativo
pubblico ma hanno quasi azzerato la costruzione di nuovi
alloggi. Dobbiamo investire di più in edilizia pubblica, non
come hanno proposto loro con promesse che non possono
mantenere e non aumentano di un solo vano la disponibilità
edilizia.
Vogliamo rendere più trasparente il mercato delle locazioni
utilizzando la leva fiscale per scoraggiare il nero e per
ridurre il carico fiscale sugli affitti.
Vogliamo anche aiutare le giovani coppie ad acquistare la
casa istituendo un fondo di garanzia pubblico per la
concessione di mutui da parte del sistema bancario.
Gran parte della profonda modificazione nella distribuzione
dei redditi delle ricchezze (che ci consegna un crescente
numero di famiglie in difficoltà) è legata ad un andamento
abnorme dei prezzi.
In
particolare è il lavoro ad essere stato penalizzato mentre i
prezzi dei beni non sottoposti ad una vera pressione
concorrenziale sono saliti vertiginosamente.
Colpa dell’Euro? O colpa di come abbiamo sorvegliato il
passaggio da lira a euro?
Sono solo mancati i controlli o piuttosto è stata una scelta
politica deliberata per favorire pochi a danno di tanti?
I
prezzi hanno continuato a salire e continuano ben oltre la
fase di passaggio da una moneta all’altra. Oggi abbassare il
livello di alcuni prezzi è una priorità, ma è difficile come
rimettere il dentifricio nel tubetto, anche perchè c’è chi
il tubetto continua a stringerlo e le nostre famiglie vedono
crescere le difficoltà.
Agiremo su due livelli: maggiore potere di acquisto alle
famiglie e servizi liberati dal peso e dalle incrostazioni
dei monopoli e quindi meno cari.
Queste che ho esposto sono le colonne portanti di un
programma dalla parte dei cittadini, il programma di un
governo dalla parte dei cittadini.
Le
colonne portanti, non evidentemente l’intero edificio. La
lettura anche solo dei titoli dei capitoli in cui si
articola il nostro progetto elaborato “per il bene
dell’Italia” dà la percezione della ampiezza degli
interventi che lo stato del Paese richiede.
A
questo, a tutto questo, settore per settore, ci dedicheremo
con identica passione, con identica determinazione.
Agiremo in un mondo dove tante e purtroppo crescenti sono le
ragioni di forte preoccupazione, e troppo spesso di serio
allarme.
Occorre un forte e rinnovato impegno nella lotta al
terrorismo internazionale, che minaccia l’insieme delle
società del mondo contemporaneo.
Il
fenomeno terrorista è mosso oggi, in primo luogo, da un
pericoloso fondamentalismo, che agita la bandiera religiosa
per coprire un disegno politico perverso, che con i valori
religiosi autentici non ha nulla a che fare.
Nei
confronti dei metodi terroristici, condotti sia da
organizzazioni sia da Stati, affermiamo la nostra ripulsa
morale e politica.
Siamo fermamente convinti che la lotta al terrorismo vada
condotta con strumenti politici, di intelligence e di
contrasto delle organizzazioni terroristiche.
E’
in primo luogo sul piano politico, sociale ed economico che
dobbiamo battere il disegno del terrorismo, prosciugando il
serbatoio degli adepti.
Nella politica globale per la lotta al terrorismo noi saremo
partecipi convinti, con i nostri valori e le nostre risorse,
anche risorse militari ogni qual volta che esse siano
legittimamente mobilitate dalle organizzazioni
internazionali cui apparteniamo.
In
ogni evenienza risponderemo con prudenza, con equilibrio, e
quando necessario con fermezza.
Guidati da scelte precise nella nostra politica estera.
Scegliamo l’Europa e il processo di integrazione europea
come ambito essenziale della politica italiana.
Scegliamo di mettere la vocazione di pace del popolo
italiano e l’articolo 11 della Costituzione al centro delle
decisioni in materia di sicurezza.
Scegliamo il multilateralismo, inteso come condivisione
delle decisioni e costruzione di regole comuni.
Scegliamo una politica preventiva di pace che persegua
attivamente l’obbiettivo di equità e giustizia sul piano
internazionale, favorendo la prevenzione dei conflitti e il
prosciugamento dei bacini dell’odio.
Scegliamo la legalità internazionale come chiave per
affrontare i conflitti e per la costruzione di un ordine
internazionale fondato sul diritto.
Scegliamo di mettere al centro dell’azione dell’Italia la
promozione della democrazia, dei diritti umani, politici,
sociali ed economici, a cominciare dai diritti delle donne.
E’
per questi valori e questa visione del mondo che, così come
in alcuni casi abbiamo ritenuta legittima e doverosa la
partecipazione militare dell’Italia a importanti missioni di
pace, delle quali andiamo orgogliosi, non abbiamo invece
condiviso la guerra in Iraq e la partecipazione italiana.
Consideriamo la guerra in Iraq e l’occupazione un grave
errore. Essa non ha risolto, anzi ha complicato il problema
della sicurezza. Il terrorismo ha trovato in Iraq una nuova
base e nuovi pretesti per azioni terroristiche interne ed
esterne ai confini iracheni.
Se
vinceremo le elezioni, immediatamente proporremo al
Parlamento il conseguente rientro dei nostri soldati nei
tempi tecnici necessari, definendone anche in consultazione
con le autorità irachene le modalità affinché le condizioni
di sicurezza siano garantite.
L’impegno italiano in Iraq non cesserà ma assumerà forme
radicalmente diverse, prevedendo azioni concrete per
sostenere la transazione democratica e la ricostruzione.
Abbiamo, per il resto, ben ferme due stelle polari.
La
prima è l’Europa, come ho appena accennato.
Non
potremo ridare dignità e forza al Paese se non lo
riporteremo saldamente al centro dell’Europa. Se non faremo
della nostra appartenenza all’Europa la nostra forza e la
nostra bandiera. Se non lavoreremo con tenacia per fare
dell’Europa un soggetto forte e unito nello scenario
internazionale. Mai più dovremo avere posizioni differenti
su una questione come l’intervento in Iraq. Mai più dovremo
permettere che si divida l’Europa in una Europa amica degli
Americani e una un po’ meno amica. L’Europa dovrà prima di
tutto essere filoeuropea e solo allora sarà un alleato
serio, leale e affidabile degli Stati Uniti.
Il
governo della Destra non ha capito che nella sua politica
internazionale l’Italia conta solo se conta in Europa. E noi
lavoreremo per ricollocare l’Italia tra i paesi guida
dell’Europa.
L’altra stella polare è la Costituzione repubblicana.
In
ogni democrazia le istituzioni sono lo strumento
fondamentale per garantire i principali valori
costituzionali: libertà, partecipazione, pluralismo,
equilibrio dei poteri.
Il
governo della Destra ha applicato alle istituzioni una
logica proprietaria. Come sappiamo bene, proprio in scadenza
di legislatura ha inflitto due gravi colpi al sistema
costituzionale, cambiando la legge elettorale e riformando
radicalmente la Costituzione.
Sono, entrambi, progetti elaborati senza alcun
coinvolgimento dell’opposizione, ma anzi contro di essa.
La
costituzione e le istituzioni sono diventate merce di
scambio, usate per tenere insieme una coalizione politica
ormai priva di ogni collante ideale e progetto politico.
Gli
echi della nostra battaglia sono troppo freschi per
richiedere qui ulteriori puntualizzazioni. I cittadini
italiani avranno modo il 9 aprile di dire cosa pensano
dell’operato del governo della Destra anche su questo
terreno, e di bocciare nel successivo referendum una riforma
costituzionale che lacera il Paese.
Mi
limito qui a riaffermare due principi basilari che
dovrebbero essere ovvi, che per noi sono ovvi perché fanno
parte del Dna originario di ogni democrazia. Primo, le
istituzioni sono di tutti; secondo, la Costituzione si
cambia solo insieme.
Ecco, questo è in sintesi il programma con cui la coalizione
di centrosinistra va alla prova delle elezioni, parte del
più vasto progetto di governo “per il bene dell’Italia”.
Con
un messaggio, malgrado tutto, di sobrio ottimismo: si,
possiamo farcela, l’Italia può farcela.
Su
questo, noi chiediamo il voto.
Chiediamo un voto che mandi all’opposizione chi dalle
elezioni precedenti ha avuto il potere e lo ha usato male,
che mandi a casa chi ha fallito e ha fatto del male
all’Italia.
A
chi ha già votato per noi nelle precedenti elezioni
politiche, ai tanti che ci hanno dato la vittoria in tutte
le elezioni di questa legislatura, io dico anche a nome di
tutti voi: dateci la vostra fiducia, perché senza di voi
niente è possibile.
A
chi ci ha negato finora il suo voto, io dico: è ora di
voltar pagina.
E a
tutti dico: per il bene dell’Italia non vi deluderemo.
Questo è l’impegno di tutti noi.
Il
nostro è un sogno e un progetto. E’ il sogno di un mondo più
libero, più giusto e più unito.
Che
si traduce in un progetto che vogliamo, giorno dopo giorno,
realizzare.
Consapevoli della nostra storia, guardiamo al mondo con
spirito aperto, con l’ambizione di esserne nuovamente
protagonisti.
Per
l’Italia, questo è il tempo delle scelte.
Romano Prodi
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