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Adda passà a nuttata

Pubblicato da Sebastiano Posadinu in Note · 15/8/2010 21:18:42

Adda passà a nuttata
pubblicata da Sebastiano Posadinu il giorno domenica 15 agosto 2010 alle ore 18.44
07.08.2010
Adda passà a nuttata

La poltrona....Crisi di mezza estate... o mezza-crisi d'estate?
Dopo 20 anni di prove il bi-polarismo non decolla. L'unico obiettivo condiviso dal ceto politico è la tenuta di sistema. Aldilà degl'interessi di bottega, l'unica novità la potrebbe portare una nuova stagione di lotte e conflitto. A patto che questa sappia prodursi...
Ancora una volta, Berlusconi e il suo esecutivo ce la fanno per un soffio, graziati (si fa per dire) dall'astensione dei finiani, interessati (per ora) a rappresentare pubblicamente la potenza dei propri numeri. Ma è una ben misera forza quella che abbiamo davanti. Se è vero che Fini e i suoi "tengono il governo per le palle", i ministri di Berlusconi e la compatta compagine leghista hanno buon gioco nel prenderli alla lettera e ribadire: "chi farà cadere il governo - cosa che i finiani spergiurano non volere - se ne assumerà la responsabilità di fronte al paese". Un doppio legame che azzoppa entrambi gli schieramenti, per il momento concordi nello svoltare le vacanze e guardarsi intorno, cercando di raccapezzarsi e capire le nuove alleanze possibili, eventuali fuoriuscite o improbabili riavvicinamenti, con lo sguardo ben vigile sui transfughi di ambedue le parti e le mani avide su un patrimonio di un partito che fu da spartire.
Dimenticavamo ma forse non siamo i soli, che c'è anche un'opposizione... Già, l'opposizione! Che dire? Tra Tg e quotidiani è un bell'impazzare. Il momento è quello buono e bisogna darci dentro ma il panorama delle dichiarazioni (non parliamo di progetti) è degno della più preoccupata diagnosi di schizofrenia.
Proviamo ad enumerarne i casi... Bersani (genio della politica che sa farsi notare per il suo ostentato disprezzo verso la comunicazione via web) alterna sortite giacobine sulla necessità di far fuori Berlusconi all'invocazione di un governo tecnico-di transizione sotto la guida di Tremonti (dopo anni di attacchi contro il ministro-flipper). Rosy Bindy, forse ammaliata da un gentleman perdipiù Presidente della Camera, vorrebbe puntare alle dimissioni del Cavaliere anche alleandosi con Fini. Di Pietro, barricadero-poliziotto, punterebbe invece tutto su una grande alleanza verso sinistra con Pd, Vendola e i movimenti (se al loro risorgere non riterrà meglio arrestarli tutti). Raccoglie la palla l'Obamino di Puglia che fa la voce grossa e si dice pronto a giocarsi la partita (e non si capisce se l'aria malsana delle fabbriche abbia già cominciato a dargli alla testa, confondendo le primarie con le politiche). Grillo e grillini annunciano di scendere in campo da soli, contro tutti.
Insomma, un bel pout-pourri dove ognuno dice quel che gli passa per la testa senz'alcuna traccia generale o preoccupazione di convenire con quanto affermano i colleghi di schieramento. Ma se il panorama è tanto mefitico a sinistra, le cose non sono certo meglio a destra. Solo imperdonabili anime belle possono pensare alla buona fede di Fini e soci. Qualche articolo qua e là ha fatto una buona radiografia sulla composizione del drappello finiano: fascistoni di lunga data, liberali incalliti, cattolici senza più Chiesa e radicali senza partito. A condire il tutto qualche signora e signorina visibilmente diverse dalla funzione decorativa della versione berlusconiana. Un'accozzaglia tenuta insieme dalla fedeltà a un capo rispettato e temuto per la carriera personale che ha garantito ad ognuno. Gli ex-colonnelli Gasparri e LaRussa fanno quasi la parte dei coerenti col progetto Pidielleino ma anche lì, a ben vedere, la fedeltà e soprattutto fedeltà alla poltrona che si occupa.
In questo mare torbido, dopo anni di pubblico ludibrio (a destra, a manca e nel movimentismo), verrebbe proprio la voglia di rivalutare un Novecento tanto disprezzato. Dove le appartenenze non erano solo il sintomo di un identarismo monolitico ma adesione ad un progetto generale e tensione verso qualcosa di un po' più alto di uno stipendio e una poltrona. Nell'accettazione anche di percorsi e lotte non necessariamente destinati a dare frutti immediati. Non immediatamente consumabili.
Bye-bipolarismo bye...
Non sappiamo se questi giorni - come ha osservato qualcuno - segnino la fine effettiva della Seconda Repubblica. Non facciamo i preveggenti. Quel che è certo è che nell'agonia protratta di quest'esecutivo si consuma la misera fine del tanto celebrato bipolarimo, dopo vent'anni di riforme sotto il segno di un credo condiviso dalla quasi totalità del ceto politico nostrano. Nonostante le buone intenzioni, il belpaese si dimostra ingovernabile e la composizione dei suoi parlamenti e dei suoi governi, i ritornanti scacchi alla tanto ricercata "governabilità" sono la cristallina dimostrazione che la politica, in Italia, si fa ancora, in alto sotto il segno del trasformismo e delle alleanze variabili, in basso con le clientele e l'aggregazione su poltrone e poltroncine. Non è un caso, che ad ogni tornante critico dei governi in carica (centro-destra o centro-sinistra che siano) si riaffaccino redivivi, come tirati fuori dalla naftalina, gli eterni democristiani, maestri di cerimonia di tanto nella loro forma neo-moderna e televisiva (i vari Casini, Follini, Rutelli...) che in quella più classica (con un De Mita che rilascia interviste e ricette sull'uscita proporzionale dalla crisi di governo).
Lo spettro della variabile indipendente
Dal nostro punto di vista val pur sempre il vecchio adagio per cui se “grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”. L'interesse per l'esito tutto politicista di questa crisi estiva è molto strumentalmente legato al grado di conflittualità sociale e politica che saprà produrre o narcotizzare. La fine del berlusconismo è certo un traguardo importante, ma per nulla scontato. La sua temporanea sostituzione con un governo tecnico, di transizione o "larghe intese" che preparerebbe comunque il terreno a nuove e più drammatiche privatizzazioni della vita e recinzioni dei beni comuni solo in forma più nascosta, non sarebbe affatto una buona soluzione. Alle porte di un autunno che potrebbe portare in superficie quanto si agita inespresso nelle pieghe del corpo sociale - tra fine degli ammortizzatori sociali e attacco frontale al sistema-formazione - l'unica reale preoccupazione a breve termine è questa: se Berlusconi cadrà, ci sarà più o meno conflitto sociale nel paese? Il resto è mera preoccupazione occupazionale di casta.
Certo sul medio-lungo termine la partita e le poste in gioco son di ben altra natura e spessore: sospesi in un'epoca di transizione, sulle impalcature di una forma politica sorpassata, travolti da una fortissima scomposizione delle identità politiche e sociali, i nodi forti su cui lavorare e ricostruire il progetto sono quelli della ricchezza sociale di cui riappropriarsi, contro un mostro capitalista sempre capace di riprodursi e farsi tanto più cattivo quanto più critiche sono le sue condizioni. Ma anche a questo livello, l'unica appoggio su cui potremo puntare è la forza che le lotte i movimenti sapranno mettere in campo come variabile indipendente contro il sistema-crisi. Ben oltre le scorciatoie e gli ammiccamenti dei carrozzoni mal assemblati dagli obamini di casa nostra.

Infoaut-Torino


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